Lorenzo Lotto nelle Marche e l’analisi del San Vincenzo Ferrer di Recanati di Federico Giannini

Esiste un opera che racchiude l’essenza di Lorenzo Lotto?

Se ci si trovasse di fronte all’evenienza di dover scegliere un’opera che racchiuda l’essenza di Lorenzo Lotto, o possa in qualche modo assurgere a simbolo della produzione di questo straordinario maestro, subito ci si renderebbe conto d’aver a che fare con un’impresa impossibile. Artista estroso, capace d’innovare e stupire financo negli scorci estremi della sua esistenza.

Lorenzo Lotto è un pittore che travalica gli schemi, rompe qualsiasi classificazione, rifiuta d’esser ingabbiato in sunti concisi.

La sua è la storia d’un ingegno che mai conobbe requie, d’un uomo abituato a viaggiare senza sosta laddove il suo talento lo conduceva, e a lasciare, ovunque si recasse, pitture sempre diverse, sempre in trasformazione, in un processo di continuo rinnovamento, che ci sorprendono per i più svariati motivi.

San Vincenzo Ferrer in gloria, 1513- Lorenzo Lotto

Così, ognuna delle opere di Lorenzo Lotto, per ragioni differenti, ben potrebbe candidarsi a esser particolarmente rappresentativa del suo stile, della sua indole, dei mutamenti della sua arte. Tuttavia, come in ogni storia, anche in quella del pittore veneto esistono momenti salienti: uno di questi è il suo San Vincenzo Ferrer di Recanati, eseguito nel 1510.

Il motivo basilare della sua unicità è presto detto: si tratta del solo affresco oggi conosciuto di Lorenzo Lotto nelle Marche.

Ma non solo: è un’opera di sicura attribuzione, ben nota alle fonti antiche, Vasari ne parlò nell’edizione giuntina delle Vite come di “un San Vincenzo Ferrer frate, lavorato a fresco”, e Luigi Lanzi, nel suo Viaggio del 1783 per la Toscana Superiore, per l’Umbria, per la Marca, per la Romagna, lo menzionò come “un S. Vincenzo a fresco lavorato quasi per ischerzo ove un suo scholaro dovea dipingerlo in tela”.

È probabilmente la prima opera eseguita dall’artista al ritorno dal suo soggiorno romano – questa almeno è la posizione critica più recente, rimarcata dalla studiosa Francesca Coltrinari – ed è dipinto dalla storia lunga e travagliata.

A Macerata la prima rassegna volta a indagare l’intera produzione lottesca nelle Marche

Per buona parte del 2018 e fino al 10 febbrio del 2019, il San Vincenzo Ferrer ha lasciato la sua Recanati con destinazione Macerata, per esser esposto all’eccezionale mostra Lorenzo Lotto. Il richiamo delle Marche, curata da Enrico Maria Dal Pozzolo, e che s’è posta come la prima rassegna di sempre a voler indagare l’intera produzione lottesca nelle Marche rimanendo in regione.

Tanto che, idealmente, l’esposizione s’è estesa a tutti i comuni marchigiani dove oggi sono conservate testimonianze del genio di Lotto:

  • Ancona,
  • Cingoli,
  • Jesi,
  • Loreto,
  • Mogliano,
  • Monte
  • San Giusto,
  • Recanati,
  • Urbino.

Le Marche e le opere del Lotto riunite per una ripresa post sisma del 2016

E pensare che inizialmente non avrebbe dovuto trovarsi lì quel santo così imperioso e determinato, “levato sopra una nuvola da due angeli”, come lo descrisse Lanzi, tale da esprimere: “veramente l’atto del volo, e nel gesto e nel volto lo zelo della predicazione”.

Intento dei curatori era infatti quello di lasciare presso le loro sedi le opere custodite nei musei e nelle chiese del territorio, e radunare al Palazzo Buonaccorsi di Macerata, il luogo selezionato come sede espositiva, solamente i dipinti che Lorenzo Lotto dipinse per le Marche e che poi gl’imprevedibili rivi della storia hanno condotto altrove.

Solamente gli eventi naturali hanno messo a repentaglio il progetto: il violento sisma che il 24 agosto del 2016 ha scosso il centro Italia ha seriamente rischiato di compromettere tutti i propositi dell’organizzazione.

Ed è ovvio e scontato comprendere perché: ogni singola energia, ogni minima risorsa, ogni sforzo utile, tutto doveva esser messo a disposizione per le urgenze, per la messa in sicurezza, per la tutela, per dar vita al lento processo di ricostruzione. Tuttavia, l’avvedutezza dei promotori dell’evento (la Regione Marche, il Comune di Macerata, il sistema museale cittadino) ha fatto sì che la mostra assumesse i contorni di tappa fondamentale d’una ripresa, oltre che di reazione forte, animosa e sentita nei confronti della calamità che s’era abbattuta sul territorio.

Dunque, niente sarebbe stato rimandato: dopo un simile accadimento, una delle priorità era anche tornare quanto prima a una situazione che s’avvicinasse il più possibile alla normalità.

E Macerata fu individuata come sede anche in virtù del fatto che il capoluogo figura tra i comuni compresi nel cratere del terremoto: “portarvi la mostra lottesca”, ha spiegato Enrico Maria Dal Pozzolo, “risultava un segnale di forte carattere simbolico”.

La cultura come mezzo di ripresa e conoscenza del terrirorio marchigiano

La cultura, del resto, è uno dei mezzi più potenti per non perdersi, per ricostruire, per ripartire dopo una sciagura che rischia di spegnere l’anima d’una terra e delle comunità che in essa risiedono, crescono, lavorano, sognano, agiscono.

La cultura, in simili contingenze, è un formidabile collante: nel proprio patrimonio le comunità si riconoscono e trovano la motivazione per andare avanti, e le opere diventano simboli attorno alle quali radunarsi.

La scossa dell’agosto del 2016 ha reso inagibile la chiesa di San Domenico a Recanati, per la quale l’affresco del San Vincenzo Ferrer fu realizzato, costringendo così gli organizzatori a ipotizzarne l’esposizione alla mostra di Macerata.

La storia San Vincenzo Ferrer del Lotto

È il più recente capitolo d’una storia alquanto tormentata: il San Vincenzo Ferrer era infatti situato in origine sulla parete della navata sinistra dell’edificio sacro.

Nel 1593 fu risistemato per essere incluso in una nicchia di nuova costruzione, per poi esser in epoca più tarda resecato sul bordo inferiore e su quello superiore, così facendo s’è perso il paesaggio che con tutta probabilità figurava nella porzione bassa della composizione, e trasformato in pala d’altare.

Infine, nel 1953, quando fu allestita la mostra su Lorenzo Lotto a Venezia, a Palazzo Ducale, il santo domenicano fu staccato e montato su tela.

Vincenzo Ferrer, il santo predicatore di Valencia vissuto tra la fine del Trecento e gl’inizî del Quattrocento.

Viene raffigurato da Lorenzo Lotto in piedi su di una nube, trasportato verso l’alto da un paio d’angioletti che la sorreggono, mentre con la mano destra indica il cielo sopra di lui, e con la sinistra tiene aperto un libro che, come da sua tipica iconografia, è aperto al capitolo 14, versetto 7 dell’Apocalisse di Giovanni: “Timete Deum et date illi honorem quia venit hora iudicii eius” (“Temete Dio e rendetegli onore, perché è giunta l’ora del suo giudizio”).

Dipinto che assomma modelli düreriani, chiare suggestioni raffaellesche – Berenson ha notato come la figura del san Vincenzo Ferrer ricordi niente meno che il Platone della Scuola di Atene: del resto, Lorenzo Lotto aveva appena soggiornato nell’allora capitale dello Stato Pontificio .

Secondo alcuni anche assonanze coi capolavori di Michelangelo, l’attitudine del santo ricorda quella dei personaggi della Cappella Sistina, oltre che coi capolavori fiorentini di fra’ Bartolomeo.

Opera che, sulla base delle indagini tecniche svolte nel 2010, testimonia “l’operato di un pittore accurato, intenzionato a svolgere a buon fresco la gran parte del lavoro, limitando al massimo le stesure a secco, senza l’aiuto di assistenti” (Marta Paraventi).

Il San Vincenzo Ferrer è stato descritto nella presentazione della mostra di Macerata anche come un affresco “emozionante”.

Certo: si potrà obiettare che oramai vige l’abitudine d’affibbiare questo aggettivo (che andrebbe sempre adoperato con estrema parsimonia) anche a opere che non siano d’eccelsa qualità, se le ragioni del marketing lo richiedono, col risultato che il pubblico vien quasi fatto “emozionare” a comando, e che il livello (incluso quello delle sensazioni) rischia viepiù d’appiattirsi scadendo nella banalizzazione.

Se non si conoscesse l’opera, e se s’ignorassero la storia della mostra o i nomi di chi l’ha curata e organizzata, si potrebbe esser indotti a ritenere che quell’“emozionante” sia parola vana. In realtà tale è veramente la sensazione che si prova quando ci si trova davanti a quel gesto così deciso e potente (e che ci appare tanto più forte se pensiamo che lo vediamo dal basso), quando s’immagina l’effetto che doveva sortire sugli astanti del sedicesimo secolo.

In conclusione, l’arte deve essere a beneficio della comunità

Quando torna alla mente la sua storia antica e recente, e quando si realizza che, come il San Vincenzo Ferrer, esistono centinaia d’opere che sono ricoverate lontani dalle loro case, in attesa di farvi ritorno o di trovare una collocazione che non sia un deposito o un archivio.

Benché ciò non significhi che le loro comunità non le possano vedere (è impressionante pensare che, per esempio, nella vicina Umbria molti degli abitanti dei comuni colpiti dalle scosse telluriche si rechino al Deposito di Santo Chiodo a Spoleto per riverire le opere delle chiese devastate).

Così, il San Vincenzo Ferrer magari non sarà un simbolo dell’arte di Lorenzo Lotto: come rammentato in apertura, ozioso sarebbe il voler riassumere un tale artista in un unico lavoro.

Ma è di sicuro un’opera capace di far riflettere sul ruolo della cultura nel contesto d’eventi tragici: una riflessione che, certo, è orientata più verso il futuro che verso il passato.

Vi potrebbe interessare anche l’esperienza di Jacopo Veneziani sulle opere di Lorenzo Lotto e il territorio marchigiano.

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